Fare il programmatore significa futuro sicuro e duraturo

La pandemia ha scosso il mondo lavorativo. Alcune professioni, però, figlie della digitalizzazione non temono quest’instabilità: tra queste c'è il programmatore
Lettura in: 4 minuti

Il settore IT è il più predisposto al remote working. E questo dato già permette di comprendere le potenzialità di un universo lavorativo totalmente proiettato verso un mondo diverso. È il mondo post-pandemia, caratterizzato da un radicale cambiamento delle nostre abitudini, da una rivalutazione delle nostre priorità.

La sfera lavorativa non è esente da tale sconvolgimento. Alcuni hanno timore di tornare in ufficio e preferiscono una formula ibrida, che consente di lavorare da casa e, se necessario, recarsi in sede. Provando nuove modalità, altri non vogliono più tornare indietro perché hanno scoperto che da casa si è più produttivi, ci si sente più valorizzati e si ottimizza il proprio tempo.

Gartner, una delle società di consulenza, ricerca e analisi più importante per il settore IT, stima che entro la fine del 2021, il 51% di tutti i lavoratori, inclusi quelli dell’Information Technology, in tutto il mondo lavorerà in remoto, rispetto al 27% del 2019. I lavoratori a distanza rappresenteranno il 32% di tutti i lavoratori dipendenti in tutto il mondo entro la fine del 2021. Questo dato è in aumento rispetto al 17% dei dipendenti nel 2019.

Diventare programmatore oggi è una scelta strategica, che garantisce una certa sicurezza e permette di sperimentare nuovi modi di vivere il lavoro.

La trasformazione digitale: alcuni studi

Dopo un calo nei primi giorni dei vari lockdown mondiali, le assunzioni nell’ambito IT sono rimbalzate verso la fine del 2020. Solo negli Stati Uniti, Paese che da sempre guida lo sviluppo del settore informatico, le occupazioni tecnologiche sono cresciute di 391.000 unità a dicembre 2020 (dati dell’associazione di settore CompTIA e del dipartimento del lavoro statunitense), con i ruoli di sviluppatore di software e di applicazioni che hanno visto alzare la loro quota di 62.900 nuove assunzioni.

Secondo i ricercatori di Evans Data “Poiché le aziende si adattano ai cambiamenti associati ai diversi ambienti di lavoro, si prevede che la crescita della popolazione degli sviluppatori aumenterà nei prossimi anni, con una crescita della popolazione che riprenderà il suo dinamismo pre-pandemia già nel 2021”.

È una tendenza riscontrabile in tutto il mondo. Le aziende rispondono sempre di più alle nuove sfide e apportano delle modifiche ai propri modelli operativi. Assistiamo ad una vera e propria rivoluzione digitale, che ha avuto inizio anni fa ma ora vede una nuova accelerazione.

Per quanto riguarda l’Italia, la classifica presentata dall’ultimo rapporto DESI 2020, utilizzato dalla Commissione Europea per valutare lo stato di digitalizzazione dei Paesi Membri (con dati a giugno 2019), la inserisce al 25° posto sui 28 Paesi analizzati. Una posizione non incoraggiante ma che pare destinata ad essere ribaltata. Il lockdown, infatti, ha modificato le abitudini della popolazione italiana, indirizzandola sempre più verso nuovi comportamenti digitali: il remote working, la didattica a distanza, la spesa on-line, la socializzazione in videochiamata. Molti italiani hanno compreso che le soluzioni digitali e i servizi online rappresentano un supporto essenziale in molti ambiti della vita quotidiana. Basti pensare che internet è diventato il mezzo più essenziale per 6 italiani su 10 e un’eventuale interruzione dei servizi per due giorni conseguiti peserebbe molto di più di una sospensione di uguale durata delle trasmissioni radiotelevisive.

Al fine di verificare gli effetti della pandemia sul processo di digitalizzazione italiano, e quindi se i dati riportati dal rapporto DESI 2020 siano cambiati, è stata effettuata una simulazione: il punteggio ricalcolato utilizzando i dati riferiti al periodo del lockdown (ove disponibili), raggiungerebbe un valore di circa 50 punti, in crescita del 15%, un punteggio che vedrebbe l’Italia avanzare di 6 posizioni rispetto alla classifica.

Chi è il programmatore oggi

Si comprende come il nostro Paese sia in procinto di un riassetto tecnologico dalle vaste dimensioni, che coinvolge anche il mondo del lavoro: le professioni digitali, in particolar modo quelle del settore IT, sembrano avere lunga vita e mostrare una forte crescita. Secondo LinkedIn, la richiesta di sviluppatori software, sviluppatori web, sviluppatori full-stack e specialisti del cloud è cresciuta di quasi il 25% da aprile-ottobre 2019 ad aprile-ottobre 2020.

Il programmatore, allora, è davvero colui che cavalca il cambiamento. Come un surfista del nuovo mondo, il programmatore aiuta le aziende a trasformarsi, ottimizzando i sistemi e l’interfaccia con i clienti. È colui che pone le basi stesse del digitale, sulle quali poggerà l’intero assetto informatico. Si tratta di una figura chiave, che si carica di responsabilità, decisiva nel processo di digitalizzazione che stiamo vivendo e che ci attende.

Come si diventa dei programmatori
 Come diventare programmatori

Come si diventa programmatori?

I percorsi intrapresi sono vari. Alcune persone tentano in autonomia, ma molte seguono il classico iter universitario. Tuttavia, spesso le Università non permettono agli studenti di fare davvero pratica e di sperimentare tutto ciò che hanno studiato.

È importante, allora, frequentare dei Master o dei Corsi di Specializzazione per apprendere nozioni nuove e capire verso quale linguaggio di programmazione orientarsi. Le ultime generazioni stanno sempre di più ricorrendo all’uso di Digital Academy o BootCamp, come quello proposto da AcademyQue, per formarsi e le generazioni dei millenials e la generazione X li seguono a ruota.

AcademyQue è una business school totalmente online e questa caratteristica aiuta gli studenti, perché permette di sviluppare quelle competenze trasversali e digitali, richieste dalle aziende e utili a penetrare in nuovi sistemi di lavoro.

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