L’errore di gestire una azienda senza un HR
Da qualche giorno a questa parte sentiamo molto parlare dell’intervento di Elisabetta Franchi che durante un evento si è lasciata sfuggire un pensiero molto comune tra le aziende italiane.
Secondo cui l’imprenditrice preferisce assumere in ruoli dirigenziali solo donne “anta”, cioè sopra i 40 anni, per non doverne poi fare a meno per lunghi periodi in caso di maternità:
“Queste donne se dovevano sposarsi si sono già sposate, se dovevano far figli li hanno già fatti e se volevano separarsi hanno già fatto anche quello. Quindi diciamo che io le prendo quando hanno già fatto tutti i giri di boa e sono lì belle tranquille con me al mio fianco e lavorano h24” aveva detto Elisabetta Franchi, aggiungendo che “questo è importante, un problema che gli uomini invece non hanno”.
Dopo questa affermazione è scoppiato il boom mediatico e la rivolta nei confronti dell’imprenditrice italiana.
Capro espiatorio o bocca della verità?
Premettendo che, in un mondo in cui si parla costantemente di diversità e inclusione sociale, dell’importanza della meritocrazia, di quote rosa e di equità, di felicità in azienda, welfare e well being, sentire ancora parlare di maternità e di “ruolo della donna” è davvero struggente.
Purtroppo, il pensiero di Elisabetta Franchi è molto più comune di quanto si possa credere. La centralità delle risorse, infatti, è un concetto che in Italia è fortemente condiviso nelle grandi aziende e multinazionali ma timidamente riconosciuto e condiviso tra le Microimprese e le Piccole Medie Imprese; e di PMI e Microimprese in Italia ce ne sono davvero tante.
Basti pensare che su 4,4 milioni di imprese attive in Italia, le Microimprese con meno di 10 addetti sono quelle numericamente più importanti, rappresentando il 95,05% del totale (4,18 milioni), contro un 0,09% di grandi imprese (3.960).
Le PMI italiane sono invece circa 206.000, vale a dire il restante 4,86% del tessuto imprenditoriale italiano, e sono responsabili, da sole, del 41% dell’intero fatturato generato in Italia, del 33% dell’insieme degli occupati del settore privato e del 38% del valore aggiunto del Paese.
Di questo 99,91% (PMI + Microimprese) la stragrande maggioranza non ha una figura di riferimento formata per poter gestire al meglio tutto ciò che concerne la PERSONA all’interno dell’azienda.
Questo dato è ancora più straziante se pensiamo che le organizzazioni sono fatte di persone e non può mancare, all’interno di esse, chi si occupi di loro.
D’altronde il ruolo dell’HR è proprio questo, rispondere alle richieste di Business favorendo lo sviluppo della performance dei collaboratori, favorendone il benessere, la motivazione e la felicità in azienda!
Ma se non c’è uno specifico collaboratore che si occupa di questo, come possiamo pretendere che ci siano aziende che non la pensano come Elisabetta Franchi?
D’altronde Elisabetta Franchi rappresenta l’esempio vero dell’andamento del mercato italiano e della NON gestione dei collaboratori, o, come mi piace chiamarla, della gestione “fai da te”, infatti nell’azienda della nota imprenditrice NON c’è, e ripeto, NON c’è neanche una risorsa che si occupi di Risorse Umane.
E questa situazione è più comune di quanto possiamo immaginare.
Se NON c’è una figura professionale che filtra i bisogni di business e li traduce in progetti per le persone, come possiamo pretendere che la centralità delle persone diventi una linea guida delle PMI e delle Microimprese italiane?
D’altro canto il vero obiettivo delle aziende è “fare soldi no matter what” e questo si può tradurre in due attività nei confronti dei collaboratori:
- Spremere ogni singolo dipendente, non assumere donne o uomini che hanno voglia di metter su famiglia, utilizzare forme contrattuali convenienti per l’azienda a discapito della persona e promuovere una cultura legata ad obiettivi e timore delle conseguenze se non vengano raggiunti.
- Favorire una cultura meritocratica, la possibilità di esprimere sé stessi nella vita privata e professionale, creare KPI stimolanti e riconoscere ogni piccolo raggiungimento di ogni risorsa, promuovere benessere psico-biologico rispondendo ai bisogni dei collaboratori.
Badate bene, sono entrambe strategie vincenti, ma in un caso i rischi di un aumento di turnover, che farà perdere soldi all’azienda, sono elevatissimi!
Per non parlare dei talenti, che lascerebbero l’azienda “alla Franchi” per andare a lavorare per dei competitor. E lascio capire a te quali delle due opzioni porta a questo scenario!!
Certo, avere un HR, un team HR o una risorsa formata per portare avanti tutta la serie di attività legate a questo mondo ha un costo e probabilmente non porta ad un guadagno immediatamente visibile, su questo siamo pienamente d’accordo; ma a lungo termine è la soluzione che ogni azienda dovrebbe prendere in considerazione per fare quel salto che le PMI italiane non riescono quasi mai a fare!
Avere un’azienda NON vuol dire, solo, far soldi, ma promuovere positività condivisa
E questo, di per sé, farà fare più soldi all’azienda stessa!
Non puoi permetterti un HR?! Forma un tuo collaboratore che pensi possa avere tutte le competenze richieste per svolgere questo ruolo, e il gioco è fatto!!
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