L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce così la salute mentale:
uno stato di benessere nel quale un individuo è in grado di sfruttare le sue capacità; è in grado di far fronte al normale stress quotidiano; riesce a svolgere la propria attività lavorativa in maniera produttiva; ed è in grado di fornire un contributo alla propria comunità.
Il posto di lavoro è un luogo importante, perché è una micro famiglia in cui trascorriamo gran parte della nostra vita, che sia in ufficio o tramite stanze virtuali. Esso, quindi, influenza direttamente il benessere fisico, mentale, economico e sociale dei lavoratori e, a sua volta, la serenità delle famiglie.
La crisi epidemiologica che abbiamo vissuto negli ultimi anni ha lasciato insegnamenti, tra cui l’importanza di tutelare la salute mentale. Ci ha reso, forse, più consapevoli. Chi ha sperimentato il remote working, ad esempio, fa fatica a tornare indietro perché ha assaporato vantaggi unici, come una maggiore libertà e autonomia nell’organizzazione della propria vita. Ma anche una riduzione dello stress, causato dal sovraffollamento dei mezzi pubblici presi per raggiungere il posto di lavoro.
Tuttavia, la nuova formula lavorativa nasconde delle insidie tipiche del lavoro in ufficio, come la possibilità di cadere nel “bornout”, ovvero la sensazione di sfinimento, che, a sua volta, porta il calo dell’efficienza lavorativa, l’aumento del distacco mentale e il cinismo rispetto al lavoro.
Ai problemi tipici se ne aggiungono altri come il “workaholism”, la dipendenza da lavoro. Sappiamo che lavorare da remoto implica una maggiore responsabilità. Alcuni potrebbero avere difficoltà ad orientarsi, non riuscendo più a dividere lavoro e tempo libero, finendo per rimanere attaccati allo schermo tutto il giorno, senza limiti.
È evidente che la salute mentale ha bisogno di nuovi strumenti per essere protetta in modo adeguato, in un mondo digitalizzato che pone costantemente nuove sfide.
Le aziende, però, sembrano adoperarsi poco per garantire la serenità dei loro lavoratori. E questo è stato constatato anche dall’ultimo report dell’OMS, divulgato in occasione della Giornata Mondiale della salute mentale.
La salute mentale oggi è trascurata
Nel Rapporto si ammette la carenza globale di investimenti in materia di salute mentale sul posto di lavoro.
Nel 2020, solo il 51% dei 194 Stati membri dell’OMS ha riferito che la propria politica o piano per la salute mentale era in linea con gli strumenti internazionali e regionali sui diritti umani, ben al di sotto dell’obiettivo dell’80%. E solo il 52% dei paesi ha raggiunto l’obiettivo relativo ai programmi di promozione e prevenzione della salute mentale, anch’esso ben al di sotto dell’obiettivo dell’80%.
L’unico obiettivo raggiunto per il 2020 è stato una riduzione del tasso di suicidi del 10%, ma anche allora, solo 35 paesi hanno affermato di avere una strategia, una politica o un piano di prevenzione autonomi.
Benessere psicologico per lavorare meglio
La fotografia scattata dall’OMS non è incoraggiante. Eppure secondo i dati emersi da una ricerca di BVA Doxa per Mindwork, prima società italiana di consulenza psicologica online specializzata in ambito aziendale, quasi l’85% delle persone intervistate considera il proprio benessere psicologico generale correlato al benessere sul lavoro e viceversa.
La quota di persone che dichiara di soffrire di problemi di ansia e insonnia per motivi legati al lavoro sfiora il 50%. L’80% delle intervistate e degli intervistati ha provato almeno un sintomo correlato al burnout.
Il 40% del campione intervistato, inoltre, ha riferito di non sentirsi libero di parlare del proprio malessere emotivo nel luogo di lavoro. L’ambiente di lavoro pare sia restio e diventi il luogo meno adatto ad esprimere il proprio disagio. Una persona su tre dichiara di essersi assentata dal lavoro a causa di malessere emotivo, dovuto a eccessivi carichi di stress e ansia, che non riusciva più a sostenere.
Sempre secondo i dati emersi i giovani hanno una maggior propensione a lasciare il lavoro a causa di un disagio emotivo ad esso correlato. Il 49% degli under 34, infatti, si è dimesso almeno una volta per preservare la propria salute psicologica.
Il 92% ritiene rilevante che l’azienda si occupi attivamente del benessere psicologico dei propri dipendenti. Tuttavia, il 42% del campione intervistato ritiene inefficaci le iniziative promosse dalla propria azienda per aumentare il livello di benessere e ridurre lo stress legato al lavoro.
È questa una denuncia che fa riflettere sulla crescente sensibilità alla necessità di un ambiente di lavoro sereno. Spesso quando si cerca una nuova occupazione, infatti, le persone preferiscono un’azienda attenta al benessere, in grado cioè di porre il lavoratore al centro delle proprie scelte. Prima le persone.
Un lavoratore felice e sereno riuscirà a produrre di più e portare anche novità in azienda. E questa una verità che tutti dovrebbero capire. Gli investimenti in salute mentale, quindi, sono un’occasione per far crescere e migliorare l’intera performance aziendale.